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Lo spettacolo doveva continuare. Pantani, Armstrong e quelle storie sbagliate | Valerio Massimo Manfredi 

2024-10-18 15:38

Array( [87500] => Array ( [author_name] => Donato Zoppo [author_description] => (Salerno, 1975) scrive per i magazine «audioreview» e «Jam», dal 2006 al 2023 ha condotto il radio show Rock City Nights, dal 2005 dirige l’ufficio stampa Synpress44, con cui si occupa di comunicazione per musica e spettacoli. Ha scritto su Beatles, Lucio Battisti, pfm e tanti altri, diventando uno dei saggisti musicali più stimati in Italia. Per Compagnia editoriale Aliberti ha pubblicato "Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale" (2023) e "CSI. È stato un tempo il mondo" (2024). [slug] => donato-zoppo ) [87605] => Array ( [author_name] => Daniele Benati [author_description] => Daniele Benati è di Reggio Emilia e ha insegnato per parecchi anni all'estero. Ha tradotto opere di scrittori irlandesi e americani.; e, assieme a Gianni Celati, l'antologia "Storie di solitari americani" (Rizzoli 2006). Con Ermanno Cavazzoni ha curato la "Piccola Antologia in lingua italiana", di Raffaelo Baldini (Quodiblet 2018). Ha scritto: "Silenzio in Emilia" (Feltrinelli 2004, Quodiblet 2018); "Cani dell'Inferno" (Feltrinelli 2004, Quodiblet 2018; e, assieme a Paolo Nori, "Baltica Nove" (Laterza 2008). Con Aliberti ha pubblicato "Opere complete di Learco Pignagnoli" (2006) e la prima edizione di "Un altro che non ero io" (2007). [slug] => daniele-benati ) [87606] => Array ( [author_name] => Francesco Aliberti [author_description] => Nato a Sassuolo, editore e giornalista, vive e lavora fra Novellara e Roma. Si è laureato in Italianistica con Ezio Raimondi con una tesi su Pasolini lettore di Longhi. Ha pubblicato con Roberto Villa Pasolini a scuola. È coautore con Vauro Senesi del libro Lo straccio rosso, prefazione di Luciano Canfora (2020). 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Lo spettacolo doveva continuare. Pantani, Armstrong e quelle storie sbagliate | Valerio Massimo Manfredi 

Questo libro dell’amico Leo Turrini racconta un duello fra due campioni di ciclismo...


Prefazione a Il pirata e il cowboy 



Questo libro dell’amico Leo Turrini racconta un duello fra due campioni di ciclismo, uno sport non fra i più ricchi (tutto è relativo), che in ogni caso non raggiunge gli assurdi livelli del calcio e non per questo è meno importante per chi lo pratica e portatore di una tradizione di enorme prestigio. Un verso dell’VIII libro dell’Odissea, scritto probabilmente ventotto secoli fa recita: «La gloria maggiore che un uomo può conquistare nella vita è quella che si ottiene con le mani o con i piedi». Sembra scritta per i nostri tempi moderni! I due campioni sono Pantani, il Pirata, per via della bandana sulla testa pelata e Armstrong, il Cowboy, per le sue origini americane. Il primo, l’unico a essere riuscito a staccare Armstrong in salita, nel 1998 aveva vinto il Giro d’Italia e il Tour de France, un’impresa titanica riuscita solo, tra gli italiani, a Fausto Coppi nei tempi d’oro del nostro ciclismo. Chi non ricorda il passaggio della borraccia da Bartali a Coppi o da Coppi a Bartali? L’enigma ha fatto versare fiumi d’inchiostro e ha fatto scannare nei bar sport milioni di italiani in canottiera con le carotidi gonfie da scoppiare per le urla scomposte: comunisti dalla parte di Coppi e democristiani dalla parte di Bartali. Allora si parlava solo di simpamina mentre gli studenti sotto esame di maturità si drogavano con tavolette di fruttosio. Bei tempi. Finché, nel 1999, durante un Giro d’Italia in cui già la faceva da padrone, il Pirata fu fermato il 5 giugno a Madonna di Campiglio a due tappe dalla fine del giro, sottoposto a un esame per il controllo dell’ematocrito, trovato con un valore ritenuto pericoloso per la salute dell’atleta. Fu sospeso dal giro e squalificato per quindici giorni. Fu un colpo mortale per il giovane ciclista romagnolo, che imboccò la china di una fatale e insanabile depressione fino alla morte per droga in un motel di Rimini. Logica conclusione per uno che assumeva sostanze proibite per vincere, fu il generale e impietoso commento. A pochi venne in mente che la droga fosse invece la conseguenza di un trattamento traumatico e discriminatorio nei confronti di un atleta al vertice della sua carriera. Fu compianto e molti versarono lacrime di coccodrillo: aveva soltanto trentaquattro anni. Mentre Pantani rotolava nella polvere, veniva innalzato agli altari il suo concorrente Armstrong che vinceva sette Tour de France consecutivi e soprattutto vinceva la battaglia contro il cancro dando speranza ai milioni che ancora non vedevano la luce in fondo al tunnel. Fu portato ad esempio, di fatto santificato. Il Pirata fu dimenticato come fosse una scomoda e impresentabile personalità. Finché, di recente, Armstrong, ormai pensionato, ha deciso il grande outing confessando di essersi dopato per tutto il tempo della sua brillante carriera. Ma intanto Pantani era morto e lui aveva guadagnato gloria, soldi e quant’altro. Sono anni che gli esperti dicono che durante una gara ad altissimo sforzo il sangue di un ciclista è poco meno denso di un dentifricio, un concentrato mostruoso di globuli rossi che permettono di fissare l’ossigeno che è il comburente per quelle prove estreme. Eppure ogni volta ci si stupisce e si grida allo scandalo. Molto probabilmente non se ne farà mai nulla. Abbiamo idea del giro di danaro che turbina attorno a un grande atleta? Le gare di ciclismo, i campionati di calcio, quelli tennis e di pallacanestro, di certe forme di atletica sono il corrispondente moderno degli antichi scontri fra gladiatori solo senza versamento di sangue, che è già qualcosa. Dunque il Cowboy barava e non si può escludere che – probabilmente in misura minore – lo facesse anche il Pirata. Ma sappiamo tutti qual è il motto: The show must go on, lo spettacolo deve continuare anche se uno degli attori principali ci ha lasciato la pelle. E qui lo spettacolo è quello del record da battere a tutti i costi, del mostrare che il progresso è continuo, che i risultati ogni anno sono più esaltanti. Sappiamo tutti che qualunque atleta militante a fine carriera (cioè presto, prestissimo!) è a pezzi come un vecchio gladiatore ma ha preso (non sempre) un sacco di soldi, pazienza. Però morire a trent’anni o a venti è un’altra storia. Nessuno nega che Armstrong fosse forte (lo dice anche il suo nome) sette Tour de France sono un bottino da mozzafiato, senza contare il resto, né si può determinare con certezza quanti ne avrebbe vinti senza il dope: due, cinque, uno, nessuno? Chi può dirlo? E la vittoria sul cancro? Mitica! Da Superman. In ogni caso la gente dimentica: l’importante è vedere i muscoli tesi allo spasimo, le scalate impossibili, le volate sovrumane, le discese precipiti. Vai, Achille piede veloce! Ma mentre nell’antico agone iliadico il perdente ebbe poeti ispirati: «Oh, troppo ardito il tuo valor ti perderà» e infine: «E questi furo gli estremi onor rendutial domatore di cavalli Ettore» canta lapidario Omero. «E tu onore di pianti Ettore avraiove fia santo e lacrimato il sangueper la patriaversato» piange Foscolo. Ma per il piccolo eroe romagnolo non ci furono onori, e men che meno onore di pianti (neanche quelli di coccodrillo) a parte quelli dei genitori affranti. 


Lo spettacolo doveva continuare.



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Dorso digitale e cartaceo de «Il Mancino», testata registrata presso il Tribunale di Reggio Emilia 3/2016. 

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